Il 12 febbraio è la Giornata Mondiale contro l’uso dei bambini-soldato.
Purtroppo, sono ancora tantissimi i bambini e le bambine che ogni anno sono costretti a combattere o usati come spie, messaggeri, cuochi, sguatteri, assistenti di campo e per fini sessuali.
Alcuni vengono rapiti, altri sono spinti dalla povertà ma qualunque sia il motivo del loro reclutamento, l’utilizzo di bambini nei conflitti rappresenta una grave violazione dei diritti dei bambini e del diritto internazionale umanitario.
Ma perché proprio loro? Perché sono facilmente manipolabili oltre ad essere sottoposti ad ogni tipo di violenza per piegarne la volontà: uccisioni, torture, mutilazioni, abusi sessuali ed uso di droghe. Anche le bambine sono usate per fini sessuali, per matrimoni forzati, sottoposte a gravidanze indesiderate o per compiere attentati suicidi.
Sono molti i paesi interessanti da questa piaga ed è proprio in Repubblica Centrafricana dove opera la nostra Suor Elvira Tutolo che abbiamo raccolto la storia di Narcise, per raccontarvi la tragedia di un fenomeno spesso ignorato.
Narcise viveva tranquillamente con la sua famiglia a Bossentélé, un piccolo villaggio nel centro-ovest della Repubblica Centrafricana. Un giorno, durante il periodo del colpo di stato, arrivarono nel suo villaggio le milizie Seleka che erano al potere in quel momento.
Presero prigionieri tutti i ragazzi giovani del posto, tra cui Narcise e molti altri minorenni che vennero subito rinchiusi in un container, dove furono lasciati per giorni e giorni, senza mangiare e bere.
Molti di loro morirono, solo Narcise, ancora vivo per miracolo e con la sola forza della disperazione, iniziò a battere con tutta la forza che gli rimaneva sulle pareti del container finché inaspettatamente, un soldato Seleka aprì il portellone.
Probabilmente mosso a compassione, l’uomo chiese al ragazzo di andargli a comprare le sigarette, dandogli in questo modo la possibilità di fuggire.
Narcise, dopo un’esperienza simile e non potendo più tornare al suo villaggio dove tutti lo credevano ormai arruolato nelle milizie Seleka, si unì agli Antibalaka, i gruppi armati di autodifesa civile nati proprio per contrapporsi ai Seleka, divenuti ormai di fatto gli invasori in RCA. Fu nel gruppo degli Antibalaka che Narcise si sottopose a tutti i “riti magici” e alle procedure messe in atto da queste milizie civili per rendere i propri affiliati teoricamente “invincibili”.
Un giorno, durante una spedizione dove furono uccise molte persone, Narcise trovò per strada un uomo musulmano da solo e al quale chiese dove fossero finiti tutti gli altri abitanti del suo villaggio. L’uomo rispose che erano già stati tutti uccisi e che rimaneva solo lui. A quelle parole, Narcise fece per lasciarlo andare ma un suo capo lo notò e gli impose di terminare il suo dovere altrimenti sarebbe stato lui a morire.
Narcise fu costretto proprio da quello stesso capo miliziano, ad uccidere l‘uomo e a tagliargli la testa con il machete, a mettere quel “macabro trofeo” in un sacco per portarlo a Berberati, percorrendo oltre 100 km con i mezzi pubblici e a piedi, per far vedere a tutti di cosa erano capaci gli Antibalaka.
Solo dopo vari mesi, per sua fortuna, Narcise che si era affiliato agli Antibalaka di Berberati, incontrò Suor Elvira e fu inserito nel programma di recupero e reinserimento messo in atto dall’ONG Kizito, in partenariato con Plan International e con fondi dell’Ambasciata di Francia, durante il quale ebbe l’occasione di raccontare la sua terribile storia.
Il suo percorso di reinserimento è stato lungo ma gli ha offerto di nuovo la possibilità e la speranza di costruirsi un futuro nuovo.
Ha frequentato il Centro di formazione agricola “Sara mbi ga zo” di Wotoro, nel quale, oltre ad apprendere tecniche agricole e fare esperienza diretta di lavoro nei campi, ha potuto, durante le sessioni speciali e alla presenza di personale qualificato, raccontare e far emergere quanto vissuto, per tentare di guarire, almeno in parte, dalle ferite ormai impresse nella sua anima.
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